Espresso europeo: un nuovo paradigma per i titoli europei della difesa
Nell'ambito della nostra serie Espresso, che fornisce una miscela di opinioni esperte sulle azioni europee, il gestore di portafoglio Marc Schartz spiega perché si aspetta un cambio di atteggiamento pluridecennale nei confronti dell'industria europea della difesa.
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In sintesi
- Il pronunciato inasprimento delle tensioni geopolitiche ha trasformato il panorama di investimento per i titoli europei della difesa.
- Con la maggior parte dei paesi della NATO ora decisi a rispettare l'obiettivo del 2% di PIL per la spesa militare, è difficile immaginare uno scenario in cui l'industria della difesa non ne tragga beneficio.
- In Europa le valutazioni del settore difesa non sono disallineate da quelle del settore industriale nel suo complesso e c'è spazio per un maggiore consolidamento del mercato.
Sono stati mesi particolarmente interessanti per l'industria europea della difesa, quindi abbiamo ritenuto opportuno esaminare più da vicino ciò che sta accadendo in quest'area. Innanzitutto, crediamo che sia in corso un cambio di paradigma fondamentale nella difesa europea. Dopo il crollo dell'Unione Sovietica all'inizio degli anni '90, la spesa militare in Europa è precipitata in fondo alla lista delle priorità non solo per la politica, ma anche per l'elettorato. Inoltre, gli investitori hanno collocato l'industria della difesa nella casella delle attività sanzionabili, considerandola non conforme ai requisiti ESG.
Ora, direi che circa due anni fa, la situazione ha cominciato a cambiare radicalmente. Le tensioni geopolitiche si sono acuite e ora purtroppo abbiamo una guerra in Europa, il possibile ritorno di Trump alla Casa Bianca e punti interrogativi sulla sostenibilità a lungo termine del concetto stesso della NATO. Per questo è emersa chiaramente per l'Europa l'esigenza di cambiare approccio in materia di difesa. E abbiamo visto una reazione. Per esempio, secondo una statistica nel 2024 saranno 18 su 31 i paesi NATO che onoreranno effettivamente l'impegno a spendere il 2% del PIL. Nel 2016, erano stati solo 5 a farlo.
Quindi, il problema è stato risolto? È stato affrontato? In realtà penso che siamo solo all'inizio di un ciclo pluridecennale di investimenti nel settore della difesa. Trent'anni di sottoinvestimento cronico non si superano da un giorno all'altro. Secondo vari organismi che hanno esaminato la situazione, il sottoinvestimento in Europa si è accumulato fino a qualcosa come 600 miliardi di dollari, quindi anche spendere il 2% del PIL potrebbe non essere sufficiente per recuperare in fretta il tempo perduto.
Sappiamo che è impossibile prevedere gli sviluppi sulla scena geopolitica, ma è molto difficile immaginare un quadro [in cui gli investimenti] non continueranno ad aumentare nei prossimi anni. Osservando la situazione in un'ottica più convenzionale, i titoli della difesa hanno registrato un rally negli ultimi due anni, in virtù di queste prospettive, ma le valutazioni restano ragionevoli. Il settore è più o meno in linea con il comparto industriale nel suo complesso, il che è piuttosto interessante date le prospettive molto positive che ho appena menzionato. Inoltre, rimane frammentato, quindi il consolidamento offre una certa opzionalità di rialzo.
Un terzo aspetto è che la difesa è uno dei pochissimi sottosettori in cui le prospettive di utile probabilmente sono migliori in Europa che negli Stati Uniti, e questo lo rende molto interessante dal punto di vista dell'azionario europeo.
Infine, l'ultimo punto che vorrei sottolineare è che l'accettazione da parte degli investitori sta crescendo; faccio mia una frase dell'amministratore delegato di Euronext, borsa valori paneuropea, che la settimana scorsa ha dichiarato: "Si sta facendo strada un nuovo tipo di ESG, che sta per energia, sicurezza e geopolitica". Quindi, in questo spazio arriveranno moltissimi investitori.
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